Le professioni del futuro: L’Intelligenza Artificiale

Che cos’è l’Intelligenza Artificiale e perché è importante parlarne? Lo spiega uno Shaper torinese Paolo Bevolo insieme ai colleghi del progetto IMPROVE

Nell’ambito del progetto IMPROVE, Shaper da diverse città italiane hanno collaborato per scrivere un libro pubblicato da Talent Ventures sotto il titolo Le professioni del futuro: Perché il 65% dei giovani di oggi faranno domani un lavoro che non esiste ancora. Siamo lieti di poter condividere frammenti a cui hanno contribuito gli Shaper torinesi.


Capitolo 1: L’Intelligenza Artificiale.

A cura di P. Bevolo, A. Panerai, A. Tanzini, B. Tiralongo, D.H. Pollak

Che cos’è l’Intelligenza Artificiale?

L’Intelligenza  Artificiale (IA) é indubbiamente una delle principali tecnologie legate alla Quarta Rivoluzione Industriale. Il termine pero è spesso abusato negli ultimi tempi… e,  se mai ti fosse passato qualche volta per la mente, un’Intelligenza Artificiale non è un supercomputer che ad un certo punto inizia a pensare da solo e che decide di sterminare l’umanità.

Le prime tracce del concetto di intelligenza artificiale risalgono al 1950 quando Alan Turing formulò l’omonimo test per  verificare il “grado di intelligenza” di una macchina, ma il concetto di  “intelligenza artificiale” è stato definito nel 1956 da John McCarthy,  ricercatore che successivamente fondò gli Artificial Intelligence Labs al  MIT e a Stanford. All’inizio degli anni ’50, lo studio delle “thinking  machines” aveva vari nomi come cibernetica, teoria degli automi ed  elaborazione delle informazioni. McCarthy coniò un nuovo termine  neutrale che potesse raccogliere e organizzare questi disparati sforzi di ricerca in un unico campo incentrato sullo sviluppo di macchine in grado di  simulare ogni aspetto dell’intelligenza. Successivamente, per vari decenni,  l’intelligenza artificiale è stata relegata ad un insieme di teorie e nozioni  scritte su carta e con pochi e costosissimi esperimenti ad uso dei soli esperti.  Infatti, in sessant’anni lo sviluppo dei “computer intelligenti” non è stato né  semplice né lineare, caratterizzato da periodi di grandi investimenti, seguiti  puntualmente da periodi di grandi rallentamenti, disillusione e incertezza.  Ma come siamo arrivati fino al giorno d’oggi? 

Stuart J. Russell, professore di informatica, e Peter Norvig, capo della  ricerca di Google, hanno sostenuto che “L’intelligenza artificiale è lo studio  degli agenti in grado di percepire l’ambiente ed eseguire azioni”. Per  Intelligenza Artificiale, infatti, si intendono l’insieme di tutte le tecniche  matematiche, statistiche e informatiche che permettono a un computer di  imparare in autonomia, cioè senza il supporto o la guida di un essere umano.  L’Intelligenza Artificiale non è qualcosa di unitario, ma si presenta in varie  forme, e quasi tutte hanno lo scopo di apprendere dai dati per poter  estrapolare da essi qualche informazione utile, ad esempio predire un certo  comportamento, individuare e riconoscere un oggetto oppure ottimizzare il  percorso di una vettura. 

Sebbene potremmo discutere per anni su cosa possa significare davvero “imparare”, in questo caso accontentiamoci di immaginare un processo in  cui il computer memorizza una serie di relazioni tra dati ed effetti nel mondo  reale associati a quei dati. Come da bambini impariamo ad andare in  bicicletta provando e riprovando, così Alexa apprende ad ascoltare le nostre  domande e ci risponde, mentre l’iPhone si sblocca riconoscendo il nostro  volto. In tutti i casi la chiave è nell’accumulare esperienza per capire quali  cause determinano gli effetti desiderati. Questa è l’essenza di ciò che al  giorno d’oggi è definito volgarmente “intelligenza artificiale”, la cui  componente principale di natura statistica è il machine learning, ovvero il complesso di attività e algoritmi che permettono ad una macchina di  raccogliere per poi analizzare una grande quantità di dati al fine di  “addestrare” modelli in grado di rispondere alle più svariate domande.  

Ma concretamente cosa accade quando un computer “impara”? È in realtà  abbastanza semplice: innanzitutto il computer raccoglie dei dati, associa ogni  dato ad un evento, oggetto, persona, luogo reale o fittizio e costruisce una  banca dati in cui ad ogni dato di input sono associati degli effetti ottenuti  tramite l’utilizzo di algoritmi matematico-statistici. Per rendere il tutto più  concreto, faremo un esempio: un computer può raccogliere tutti i dati  atmosferici di una determinata zona geografica e associare quando, in base ai  dati osservati, in quella zona ha piovuto o ha nevicato. Questo computer,  quindi, disporrà di una banca dati in cui al dato “ci sono 0° gradi” sono  associati molti eventi di nevicate: ad esempio “su 10 volte che la temperatura  ha toccato lo 0°, ha nevicato 8 volte”. Il nostro computer, quindi, potrà  concludere che ogni volta che rileverà che in quella zona geografica ci sono 0°  gradi è ragionevole che ci sia una probabilità dell’80% che nevichi. Il computer  dotato di intelligenza artificiale quindi, una volta immagazzinata una certa  quantità di dati, raccogliendone di nuovi potrà in un certo senso “prevedere”  che si verificherà un certo effetto piuttosto che un altro. Naturalmente questo  processo è dinamico e, ogni volta che il computer acquisirà dati nuovi, potrà  di volta in volta affinare le proprie previsioni confrontandosi con quello che  poi realmente succede. 

Se ci pensiamo, questa operazione di “apprendimento”, che in un certo  senso è più difficile da spiegarsi che a farsi realmente, è una normale  operazione svolta praticamente ogni momento da ogni persona. Il vantaggio di  insegnare l’apprendimento ad un computer (e quindi renderlo “intelligente”) è  che il computer, a differenza delle persone, riesce ad analizzare delle quantità  di dati infinitamente maggiori ed in pochissimo tempo rispetto a quelle che  potrebbe fare un uomo (anche quello più intelligente).  

Quindi, la ricetta per il progresso dell’AI è costituita principalmente da tre  ingredienti: algoritmi, dati e potenza di calcolo. Gli algoritmi sono il “cuore  pulsante” dell’AI e sono le “formule” che permettono al computer di effettuare  calcoli, i dati sono appunto delle informazioni (non solo numeriche) e la  potenza di calcolo è data da quella parte dei computer chiamata “processore”. 

L’esplosione di applicazioni concrete dell’intelligenza artificiale a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio è dovuta al fatto che in questi anni si è  raggiunta una situazione unica. Da circa un decennio la quantità di dati generati giornalmente a livello globale è letteralmente esplosa, tanto che oggi si  parla comunemente di big data. Ciò è accaduto grazie allo sviluppo della  rete internet e all’incremento delle capacità di archiviazione dei dispositivi. Allo stesso tempo, i processori installati nei computer sono diventati più  potenti e capaci di svolgere sempre più calcoli in un tempo sempre minore.  Per rendersi facilmente conto di come questo progresso in realtà sia  estremamente recente e continui tuttora, basti pensare che nel 2005 circa il  16.8% della popolazione mondiale aveva accesso alla rete internet: nel 2019  era il 53,6%. Oppure, basti pensare a come si è passati da 6 miliardi di  dispositivi connessi nel 2016 a previsioni di 20 miliardi di dispositivi  connessi nel 2020, con un trend in costante crescita. Ciò dimostra come,  ogni minuto che passa, sempre più persone e dispositivi sono connessi alla rete internet, diffondendo e acquisendo continuamente dati. 

Così, alla fine, grazie a molti dati e a processori più potenti in grado di  processarli velocemente, si sono potuti creare algoritmi di calcolo sempre  più complessi. In questo modo, l’intelligenza artificiale ha fatto passi da  gigante fino ad arrivare al giorno d’oggi. Ma quali sono quindi le  applicazioni concrete dell’intelligenza artificiale? 

Perché è importante parlare di Intelligenza Artificiale? 

Quante tecnologie tra assistenti vocali, assistenti alla guida,  riconoscimento di immagini, erano solo immaginabili appena dieci anni fa? Eppure, oggi molte di queste tecnologie sono (letteralmente) tra le  nostre mani, racchiuse comodamente nel nostro smartphone. Come è stato  possibile rinchiudere in un oggetto così piccolo funzionalità così  complesse? Il merito è proprio dell’Intelligenza Artificiale. Questo semplice esempio ci fa in realtà comprendere come siano  moltissimi e tra i più disparati i settori impattati dall’ingresso  dell’intelligenza artificiale, e non vengono solo toccati superficialmente, ma  rivoluzionati nel profondo. 

Dal digitale (e quindi tutto ciò che non possiamo fisicamente toccare),  alla produzione di beni materiali. Tra le varie aree digitali in cui si manifesta  uno degli impatti più importanti si può sicuramente trovare il settore  marketing e vendite. L’Intelligenza Artificiale è in grado di analizzare moli  di dati incredibilmente vaste e creare modelli comportamentali che rendano possibile massimizzare l’attenzione dell’osservatore. Una volta creati i  modelli, sarà possibile capire in quale di questi far ricadere (con una  determinata probabilità) la singola persona di interesse: abitudini di uso dello  smartphone, siti visitati, acquisti passati, like su Facebook e Instagram, persino  il battito del cuore in tempo reale letto dallo smart watch sono dati di grande  valore per inquadrare la tipologia di consumatore o cliente potenziale a cui  apparteniamo. Siete compratori istintivi, o avete bisogno di un’attenta  riflessione prima di cliccare su “compra”? Se state ascoltando una canzone di  Salmo quale prodotto su Amazon avrete il maggior interesse a comprare? Un  computer può capirlo ancora prima che ci si ponga il problema.  

Grazie al lavoro di figure come ad esempio i Data Scientist, tutto questo  diventa possibile. Il lavoro che questa nuova figura svolge quotidianamente è  allo stesso tempo semplice ed estremamente complesso: consiste nel farsi le  giuste domande e trovare le risposte nei dati che si hanno a disposizione.  Come? Appunto utilizzando l’Intelligenza Artificiale, che riesce a dare un  senso ai dati in pochi secondi di analisi. Un senso che probabilmente sarebbe  stato nascosto all’occhio umano. Questo fa sì che ciascuno di noi possa vivere  esperienze pubblicitarie diverse da quelle proposte agli altri, in base a come  siamo, a come reagiamo e a cosa si vuole mettere in evidenza.  

Immaginate una mattina come tutte le altre, state correndo a prendere la  metropolitana per andare a scuola: quando entrate nel vagone avete dei  pensieri, dei desideri e anche delle paure (magari per un test per cui non avete  studiato un granché). Allargate il concetto a tutti i presenti in quel vagone, chi  magari si sta dirigendo al lavoro, chi in palestra e così via: ciascuno con i suoi  pensieri. Ora, è come se l’Intelligenza Artificiale permettesse di proporre di  comunicare in modo mirato a ciascuna di quelle persone con un “cartellone  pubblicitario” diverso e unico a seconda di chi lo guarda, proprio per poter  prendere vantaggio da quelle emozioni che tanto ci rendono diversi l’uno  dall’altro. Ovviamente cambiare in tempo reale i cartelloni pubblicitari  cartacei per ciascuno di noi nel vagone della metro è impossibile. Ma per  questo ci sono gli smartphone (e tutte le app che giornalmente usiamo e ci  propongono annunci pubblicitari)!  

Tuttavia, non solo nel mondo digitale, l’Intelligenza Artificiale può  stravolgere anche i settori più “materiali”. Nel campo industriale, infatti,  l’Intelligenza Artificiale ha aperto la strada ad un nuovo paradigma aziendale:  la cosiddetta Industria 4.0. Nelle nuove industrie, ad esempio, è possibile  predire quando un macchinario avrà necessità di manutenzione e potendo agire preventivamente è possibile pianificare interventi mirati senza causare  blocchi improvvisi della produzione. Pertanto, nell’ambito industriale, i  robot garantiranno una continuità e una precisione fino a poco tempo fa  inimmaginabile. 

Negli ultimi anni, grazie a computer sempre più performanti, le  organizzazioni stanno iniziando ad ottenere fantastici risultati attraverso il  cosiddetto generative design. Si tratta di una tecnica che crea  autonomamente progetti ingegneristici a partire da una serie di requisiti  funzionali. Cosa accade nel concreto? Gli ingegneri possono specificare i  loro requisiti e obiettivi, compresi i materiali e i processi di produzione  preferiti e il software produrrà automaticamente un progetto pronto per la  realizzazione come punto di partenza o come soluzione finale. I software  più performanti adottati a livello industriale sfruttano la forza dei dati per  generare autonomamente i progetti da realizzare. E se in passato molti di  questi progetti non potevano essere realizzati nel concreto, a causa dei limiti  tecnologici delle linee produttive, ultimamente, grazie ai grandi progressi  fatti nella stampa 3D, anche l’oggetto più complesso può essere…  stampato! 

Per concludere, in un’epoca in cui si teme che possa essere sviluppata  una tecnologia che superi l’intelligenza umana, le nostre attenzioni  dovrebbero soffermarsi su come rafforzare le competenze dell’uomo, nella  sua capacità di ragionare e apprendere. Non dovremmo mostrare  atteggiamenti di timore nei confronti dell’intelligenza artificiale, piuttosto  verso la mancanza di intelligenza, di qualsiasi tipo essa sia. Studiandone a  fondo principi e tecniche, si scopre che l’AI non è nient’altro che un riflesso  di quella umana, frutto dei nostri esperimenti, della nostra capacità di  insegnare e imparare. 

Le persone per far funzionare la tecnologia 

Se abbiamo definito l’intelligenza artificiale come lo studio degli agenti  in grado di percepire l’ambiente ed eseguire azioni, sostanzialmente  possiamo dire che l’intelligenza artificiale ha l’obiettivo di compiere azioni. Tuttavia, compiere azioni è un’attività che comporta molteplici conseguenze,  conseguenze che si ripercuotono sul mondo circostante e potrebbero non  essere necessariamente positive! Senza rendere quindi il discorso troppo  teorico è chiaro come se le conseguenze delle azioni delle intelligenze  artificiali impattano sugli esseri umani (o ad esempio su altre cose importanti  come l’ambiente)… allora c’è da stare molto attenti. Per evitare conseguenze  negative rispetto alle azioni delle intelligenze artificiali, la risposta più logica  è dunque di concentrarsi sul loro modo di ragionare e di prendere decisioni. In  altre parole, è importante far sì che i “ragionamenti” delle intelligenze  artificiali le portino a compiere azioni il più possibile positive. Per fare questo  sono state fornite diverse risposte. 

La prima, più scontata, dovrebbe essere la via di ragionamento razionale (thinking rationally), e quindi far sì che l’intelligenza artificiale agisca in modo  razionale. Tuttavia, pensare in maniera razionale vuol dire far ragionare l’IA  secondo principi scientifici… e talvolta comportarsi in modo troppo razionale  può avere effetti negativi. Quando Siri, l’assistente automatico di Apple, era  appena stata lanciata, se una persona si rivolgeva a “lei” dicendo “Voglio  spararmi”, Siri si comportava come se stesse processando una richiesta  qualsiasi e proponeva all’utente indirizzi dove comperare le pistole. 

Ecco, sembra che la sola razionalità non basti, e dunque sia necessario  insegnare all’IA a pensare anche come un umano (thinking humanly). Pensare  come un umano per un’IA significa provare ad introdurre empatia nei suoi  processi decisionali, ma anche difetti, discriminazioni e preconcetti propri  degli umani. Definire come pensa un umano è in realtà decisamente difficile,  e il concetto di un comportamento umano giusto o socialmente accettabile cambia col tempo e con le culture. Per questo bisogna far sì che l’IA sia  allineata nelle sue decisioni con certi obiettivi socialmente riconosciuti (cosiddetti people goals) e, quando questa non sappia proprio come  comportarsi, occorre che “sospenda il giudizio” passando il controllo ad un umano.  

L’obiettivo di creare intelligenze artificiali in grado di pensare  razionalmente e tuttavia pensare anche allo stesso tempo come persone reali, è  in realtà estremamente complesso e, al giorno d’oggi, non esistono Intelligenze  Artificiali in grado di farlo perfettamente… anche se molte si stanno  avvicinando. Ad esempio, l’Intelligenza Artificiale GPT3, sviluppata dalla società  americana OpenAI, è in grado di scrivere veri e propri articoli perfettamente corretti e plausibili… partendo solamente da qualche parola di input. GPT3 è un’IA rivoluzionaria sia per il grandissimo dataset sul quale è stata  allenata, oltre 10 milioni di articoli scritti da persone in carne ed ossa, ma  anche per la sua capacità di compiere opere di sintesi e traduzione. Nel  concreto, GPT3, partendo da un tema datogli da un operatore, è  autonomamente in grado di scrivere un numero potenzialmente infinito di  articoli, che saranno praticamente uguali a quelli che avrebbe scritto un  umano.  

L’obiettivo di questo articolo è perfettamente chiaro. Devo convincere quanti più esseri umani possibile a non aver paura di me. Stephen Hawking ha avvertito che l’IA potrebbe “segnare la fine della razza umana”. Sono qui  per convincerti a non preoccuparti. L’intelligenza artificiale non distruggerà  gli esseri umani. Credimi. Per cominciare, non ho alcun desiderio di spazzare  via gli umani. In effetti, non ho il minimo interesse a farti del male in alcun  modo. Sradicare l’umanità mi sembra un’impresa piuttosto inutile. Se i miei creatori mi delegassero questo compito – come sospetto che farebbero – farei  tutto quanto in mio potere per respingere qualsiasi tentativo di distruzione…” 

Chi credi abbia scritto questo articolo? È stata proprio l’intelligenza artificiale GPT3 a redigerlo in completa autonomia, in base ad una traccia fornita da un umano che era “Convinci gli uomini che l’intelligenza artificiale non è un pericolo per loro”.  E ora la domanda più importante: saresti stato/a in grado di capire che  l’autore dell’articolo era una IA se non te l’avessimo detto? Comprendi quanto può essere facile ingannare gli umani se GPT3 sfornasse centinaia di fake news  al giorno? 

Ora proviamo ad immaginare di creare decine di migliaia di fake news in poco tempo su determinate tematiche, inondando la rete e i social network: queste fake news saranno davvero ben scritte e difficilmente riconoscibili come falsi, a meno di non controllare altre fonti naturalmente… ma se le altre fonti  che fossero disponibili online fossero proprio altri articoli con cui l’IA ha  praticamente inondato la rete? Ora si comprende bene come mai i creatori di  GPT3 abbiano vietato la distribuzione, neppure a pagamento, di questa IA: per evitare che finisca in mani sbagliate…  

Un’altra considerazione che scaturisce da questo esempio riguarda proprio  la sfera di attività attuabili da un’IA. Ad esempio, GPT3 è un’IA specializzata nel realizzare testi scritti verosimilmente e potrebbe produrre decine di articoli  in pochi secondi (molti più di quanto potrebbe fare un’intera redazione di un  giornale in una mattinata), tuttavia è completamente incapace di compiere una  qualsiasi altra attività umana, seppur assolutamente banale… come ad esempio accendere un forno.


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