Le professioni del futuro: Il settore tecnologico e ingegneristico

Le tecnologie digitali e l’IA stanno creando nuove e importanti opportunità per i lavoratori e le aziende. Basta pensare del "Data Scientist" come "il lavoro più sexy del XXI secolo" secondo l'Harvard Business Review! Quali competenze saranno quindi richieste dal futuro mercato di lavoro?

Nell’ambito del progetto IMPROVE, Shaper da diverse città italiane hanno collaborato per scrivere un libro pubblicato da Talent Ventures sotto il titolo Le professioni del futuro: Perché il 65% dei giovani di oggi faranno domani un lavoro che non esiste ancora. Siamo lieti di poter condividere frammenti a cui hanno contribuito gli Shaper torinesi.


Capitolo 2: Uno sguardo al settore tecnologico e ingegneristico 

A cura di P. Bevolo, A. Panerai, A. Tanzini, B. Tiralongo, D.H. Pollak

I professionisti dei dati

Le tecnologie digitali e l’IA stanno creando nuove e importanti opportunità per i lavoratori e le aziende. La tecnologia come abbiamo visto sta impattando in modo orizzontale il mercato del  lavoro: saper usare gli applicativi tecnologici tipici del proprio lavoro sta diventando cioè un prerequisito per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro mansione. In sintesi, la rivoluzione tecnologica sta portando nel mondo del lavoro una vasta gamma di strumenti matematici e informatici a cui (quasi) ogni tipo di lavoratore (indipendentemente dal ruolo, dal settore, o dal livello gerarchico) dovrà abituarsi in breve tempo.

Naturalmente, alcuni settori sono altamente digitalizzati, ad esempio i servizi  finanziari, i media e il settore tecnologico stesso. Molti altri sono molto meno  digitalizzati, come ad esempio l’assistenza sanitaria, l’istruzione e persino la  vendita al dettaglio. Quindi possiamo dire che la stragrande maggioranza delle  aziende stanno digitalizzando la propria produzione, anche se in modo non  uniforme. 

In questo capitolo inizieremo con l’analizzare come la tecnologica sta  impattando sulle cosiddette professioni “hard tech and engineering”, cioè  quelle professioni che in italiano diremmo “ingegneristiche” che anche  prima della Quarta Rivoluzione Industriale avevano strettamente a che fare  con applicativi tecnologici. 

In ogni caso, per semplicità, in questo come nei prossimi capitoli,  parleremo e descriveremo le figure professionali e le competenze di volta  in volta richieste, senza focalizzarci troppo sul settore economico (ad  esempio quello sanitario piuttosto che quello della vendita al dettaglio) in  cui questi professionisti potranno essere impiegati. Facendo un esempio  concreto, un ingegnere esperto di programmazione software potrà essere  impiegato in una banca, in un’azienda che si occupa di estrarre petrolio o in  una grande tech company, come ad esempio Google. Le competenze di  padronanza degli applicativi informatici che serviranno a questo ingegnere  saranno in linea di massima più o meno le stesse, tuttavia dovrà poi andarle  a declinare in modo differente rispetto al settore economico in cui sarà  impiegato.  

Senza indugiare oltre, passiamo subito al concreto parlando di una  categoria di professionisti davvero richiesta al giorno d’oggi in  praticamente tutti i settori. 

Possiamo trovarli negli studi di architettura, nei reparti tecnici delle  centrali nucleari, dietro alle scrivanie di agenzie pubblicitarie e persino a  gestire le campagne elettorali per i politici, ma la mansione di base rimane  sempre pressoché uguale. Il data scientist è un esperto dei dati: deve sapersi  porre le domande giuste per risolvere un determinato problema, così come  deve capire come interpretare i dati per scovare risposte a domande che non  sapeva nemmeno che avrebbe dovuto porsi. Per far questo, sono necessarie  capacità multisettoriali basate sull’utilizzo dei dati: dalla  statistica, alla matematica e all’informatica come competenze base  attraverso cui interrogare i dati per arrivare ai risultati sperati, fino ad  arrivare a competenze di marketing, di fisica, di meccanica, elettronica e così via, in modo che, a seconda dell’ambito in cui si sta lavorando, ci si possa  porre le famose “domande giuste”. I data scientist realizzano analisi con  strumenti avanzati e trovano gli algoritmi migliori da applicare ai dati, grazie  alle loro competenze statistiche e matematiche, grazie alle capacità di  programmare in linguaggio informatico e soprattutto grazie ad una profonda  padronanza dell’argomento di cui stanno trattando. Naturalmente,  l’Intelligenza Artificiale è legata a filo doppio con la conoscenza informatica e  matematica/statistica, infatti la prima pone gli strumenti necessari per poter  eseguire gli algoritmi teorici che la seconda inventa.

I professionisti dei dati… richiesti oggi e domani

L’Harvard Business Review sostiene che “Il Data Scientist è il lavoro più sexy del XXI secolo” e, secondo una ricerca del World  Economic Forum, le competenze più richieste nel futuro sono racchiuse in tre professioni, e il data scientist è la principale. Le altre due sono: 

  • Machine Learning Engineer: mettono in produzione gli  algoritmi di AI, creando servizi che funzionano anche in tempo  reale. Hanno meno capacità statistiche, ma più abili nella  programmazione. 
  • Data Engineer: costruiscono infrastrutture e sistemi per gestire  letteralmente i Big Data, rendendoli disponibili e fruibili ai Data  Scientist e Machine Learning Engineer.  

Sempre secondo il World Economic Forum, per il 2022, l’85%  delle società adotteranno soluzioni improntate all’analisi dei dati (big  data analytics) e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (machine  learning) per questi compiti.

Le competenze che un data scientist deve possedere sono molteplici. Anzitutto l’intelligenza logico-matematica abbinata alle capacità di  ragionamento deduttivo dal momento che deve utilizzare algoritmi molto  complessi è infatti necessario che abbia una conoscenza approfondita degli  strumenti matematici e statistici. Inoltre, il data scientist deve  padroneggiare la conoscenza degli applicativi informatici: anche se non  necessariamente dovrà implementare il proprio ragionamento su larga scala  o integrarlo in software, dovrà comunque interfacciarsi con programmi di  scripting (come ad esempio R, Python e MATLAB). Per poter fare eseguire  le computazioni al computer è necessario avere una buona conoscenza di  programmazione, strutture dati e basi di dati, in quanto spesso  immagazzinati in database.

Infine, la creatività: chi lo dice che la creatività  è solo ad appannaggio dei designer? In questa professione la creatività incide tantissimo, pensare fuori dagli schemi può veramente fare la differenza.  Aggredire un problema da un altro punto di vista, magari inesplorato, può far  emergere dai dati significati apparentemente nascosti. Oltre alle competenze  tecniche si pone infatti attenzione anche verso le soft skills, rispetto alle quali  oltre alla creatività si apprezzano molto anche la capacità di comunicare e  condividere in maniera chiara e accessibile i risultati dell’AI, a volte sfruttando  tecniche di visualizzazione. Queste saranno le caratteristiche che  contraddistingueranno i manager del futuro. Così pensano anche due  professori del MIT, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, “Nei prossimi dieci  anni, l’intelligenza artificiale non sostituirà i manager, ma i manager che  usano l’intelligenza artificiale sostituiranno quelli che non lo fanno”. 

Tutte queste competenze difficilmente sono innate, e i corsi universitari in  economia, matematica, statistica e molti indirizzi ingegneristici (specialmente  quelli afferenti all’ingegneria dell’informazione) pongono le basi per diventare  un data scientist sviluppando un metodo rigoroso, dando un modo di ragionare  orientato all’oggettività, ma l’esperienza che si impara sul campo perfeziona  decisamente il tutto. Quindi poter sfruttare il tempo che si ha a disposizione  per stage all’interno di aziende è importantissimo. All’interno degli uffici è  possibile imparare a lavorare in squadra con degli obiettivi pratici e tangibili. Sicuramente poter fare stage all’estero completa il curriculum, perché  ricordiamoci che la lingua del data scientist è l’inglese, vista la foltissima  community che questa materia conta a livello internazionale. Inoltre, internet  offre tanto in merito all’apprendimento della materia: ormai moltissime  università (anche molto importanti) pubblicano i loro corsi su piattaforme per  l’apprendimento online (le cosiddette piattaforme MOOC – Massive Open  Online Course) e in rete si trovano decine e decine di siti che hanno una  quantità infinita di database utili per addestrare gli algoritmi. 

Tra alcuni dei migliori corsi disponibili online, senza costi troppo elevati,  vi sono i corsi sul Machine Learning sulla piattaforma Coursera di Andrew Ng,  professore di Stanford e pioniere dell’AI. Come questo ci sono tantissime altre  risorse online quali Udemy, DataCamp o Khan Academy, o altre OpenSource  come OpenAI, ideata dal famoso imprenditore Elon Musk in ottica di rendere  la conoscenza distribuita e accessibile a tutti. 

Per lo sviluppo dell’AI è di cardinale importanza capire quali e dove siano  le competenze. Si stima che nel mondo le persone che hanno competenze in  ambito AI siano tra 200.000 e 300.000 a fronte di una richiesta di milioni. Un  fenomeno aggravante è la migrazione di professori e ricercatori dai dipartimenti delle università alle aziende. Uber, per avviare il proprio  programma di sviluppo di veicoli a guida autonoma, ha letteralmente svuotato  il laboratorio di robotica della Carnegie Mellon University, assumendo in  poco tempo cinquanta persone. Come si chiede Alessandro Vitale, membro  della Task Force sull’intelligenza artificiale dell’Agenzia per l’Italia  Digitale, chi è che formerà le competenze del futuro se la maggior parte dei  professori andrà a lavorare per aziende? In questo momento delicato in cui  è forte la preoccupazione dell’impatto sull’occupazione, il freno maggiore  all’AI rischia dunque di essere, paradossalmente, la mancanza di profili  qualificati per soddisfare tutte le posizioni aperte. 

Pertanto, se non ora quando? Questo è uno dei momenti migliori per  pensare di iniziare una carriera nell’ambito dell’intelligenza artificiale. I  consumatori stanno già avendo degli assaggi di prodotti che sfruttano l’AI  come gli ormai diffusissimi assistenti vocali, i sistemi di raccomandazione  nei siti web (vi siete mai chiesti come mai gli oggetti che mi interessano  maggiormente appaiono tra i primi risultati?). Questa prima ondata di  prodotti contenenti “intelligenza” sta facendo crescere nel mercato la  consapevolezza di cosa si è in grado di fare con queste tecnologie e quindi  l’esigenza di volerne sempre più, costruendo prodotti complessi.

Le professioni ingegneristiche rivoluzionate dalla tecnologia

Abbiamo visto come le tecnologie digitali e l’IA stanno creando nuove  e importanti opportunità per i lavoratori e le aziende, ma la tecnologia  non solo crea professioni radicalmente nuove ma muta profondamente  anche quelle esistenti. Un esempio? Riprendendo l’esempio della  progettazione meccanica fatto in precedenza, il progettista meccanico “deve  evolversi”. Questo progettista, oltre a dover sapere disegnare e progettare  lui stesso un prodotto, nel futuro sarà chiamato anche a sapersi interfacciare  con software avanzati di creazione automatica dei prodotti. È un po’ come  il passaggio avvenuto quando si è passati dal disegno a mano (con tavole,  squadre e compassi) al disegno sui computer (con software e mouse). Va da  sé che se il disegno a mano libera offre solide basi per il disegno 3D su  computer; allo stesso modo si richiederanno anche solide basi informatiche  e di processo per sfruttare le nuove potenzialità che la tecnologia offre. 

Abbiamo già detto come la rivoluzione digitale non è altro che  l’introduzione strumenti matematici e informatici a cui (quasi) ogni tipo di  lavoratore (indipendentemente dal ruolo, dal settore, o dal livello gerarchico)  dovrà abituarsi in breve tempo. Avere solide basi “classiche” del proprio ruolo  professionale e, allo stesso tempo, saper affinare la capacità di utilizzare i più  avanzati applicativi tecnologici del proprio settore, costituisce la chiave di un  veloce inserimento nel mercato del lavoro e una carriera brillante oggi, e  domani. 

Una prima tendenza innovativa riguarderà il nostro modo di vivere di tutti  i giorni: infatti, nel 2050 si stima che il 68% della popolazione mondiale si  sposterà dalle zone rurali in città (oggi la percentuale si assesta ad un 55%), da  cui nasce l’esigenza di rendere sempre più efficiente il tessuto urbano da come  lo conosciamo oggi. Tutto questo porterà alla nascita di smart cities, cioè città  “intelligenti” sempre più interconnesse e attente ai bisogni dei loro cittadini…  ribaltando tutti i paradigmi della città come le conosciamo oggi. Un esempio?  Potremo predire i flussi di traffico per una miglior pianificazione dei percorsi urbani; l’introduzione di veicoli a guida autonoma vedrà l’interazione uomo automobile ridursi al minimo, il che si tradurrà in un aumento della sicurezza  nelle strade; gli edifici potranno apprendere le abitudini dei propri abitanti e  minimizzare l’impatto ambientale ottimizzando temperatura, illuminazione e  sprechi di vario genere e si potrebbe continuare con decine di altri esempi.  

Naturalmente, questo fenomeno necessiterà di molti specialisti in questo  campo! Ecco che vedremo nascere molte specializzazioni dell’ingegneria  civile ed ambientale proprio nella progettazione e nella gestione di sistemi  integrati per le smart cities. Questi ingegneri dovranno padroneggiare le  classiche competenze di ingegneria civile ma dovranno anche comprendere  appieno il funzionamento delle principali tecnologie che rivoluzioneranno la  vita delle nostre città. Ad esempio, ci saranno gli ingegneri specializzati nella  progettazione di smart buildings (edifici intelligenti) che dovranno integrare  case ed uffici funzionali e tecnologici, per offrire una esperienza di estremo  comfort ai loro occupanti. Gli edifici intelligenti potranno avere al loro interno  case ed uffici completamente automatizzati, perfettamente eco-compatibili e  con i più avanzati sistemi di sicurezza. In questi edifici sarà possibile aprire la  porta di casa semplicemente avvicinando il proprio smartphone, il frigorifero invierà automaticamente gli ordini di acquisto dei nostri prodotti preferiti ai  supermercati, un drone dotato di intelligenza artificiale consegnerà la spesa  direttamente in apposite aree attrezzate sul terrazzo, l’aria condizionata o il  riscaldamento si attiverà in automatico quando la nostra auto a guida  autonoma invierà una notifica al sistema domestico che siamo a 20 minuti  da casa… tutto questo senza alcun intervento da parte di nessuno! Questi  ingegneri potranno lavorare in studi ingegneristici o di architettura  interfacciandosi direttamente con i clienti per soddisfare le loro esigenze e  preferenze, sviluppando soluzioni abitative che combinino design,  domotica e innovazione tecnologica per un maggior comfort. 

Ma gli edifici intelligenti non saranno la sola rivoluzione delle smart  cities: tra poco infatti nelle nostre città vedremo taxi volanti, anche questi  pilotati da un’intelligenza artificiale, e se può sembrare fantascienza, in  realtà è più vicino di quanto possiamo pensare. Nel 2019, la multinazionale  statunitense dei servizi concierge Uber ha presentato, in collaborazione con  due aziende aerospaziali, la nuova gamma di prototipi di velivoli a decollo  e atterraggio verticale adatti al servizio di flying taxi. Los Angeles sarà  una delle prime città statunitensi ad avere questo servizio, che sarà aperto  al pubblico entro il 2023. Questo tipo di servizi sarà una nuova e  rivoluzionaria sfida per gli ingegneri aerospaziali, che dovranno progettare  non solo velivoli piccoli, adatti a decollare, volare e atterrare tra i grattacieli,  ma anche potentissimi software intelligenti in grado di pilotare questi  velivoli in completa sicurezza e senza nessun intervento umano in tutte  queste manovre. I nuovi taxi-droni volanti saranno infatti collegati ad un  sistema centrale di elaborazione dati, che raccoglierà le chiamate degli  utenti e smisterà i velivoli in giro per la città; ogni velivolo poi avrà il  proprio software di guida per volare in sicurezza rispetto ai palazzi e agli  altri velivoli, raccogliere le richieste di prenotazione inoltrate dal sistema  centrale, dirigersi verso i punti prefissati, atterrare, imbarcare i passeggeri e  decollare… e magari cambiare anche di rispondere al comando vocale del  passeggero che chiede di cambiare playlist! 

Abbandonando ora le smart cities, passiamo ad un altro trend in un  campo completamente differente: quello della guerra. Cosa c’entra la  tecnologia con la guerra del futuro? Se è vero che già al giorno d’oggi  stanno nascendo moltissimi sistemi d’arma guidati da intelligenze artificiali  (ad esempio i droni intelligenti che riescono ad identificare e a colpire  autonomamente i bersagli), tuttavia non solo queste sono le rivoluzioni degli eserciti del futuro. Infatti, le battaglie si combatteranno sempre meno in  località fisiche e sempre più in spazi virtuali. Già al giorno d’oggi sono in  aumento le operazioni militari gestite da team di hacker-soldati ai danni dei  sistemi informatici, preziosi tanto quanto le infrastrutture fisiche, di Stati ed  aziende. Un esempio recente di cyberattacco è, ad esempio, il sospettato  sabotaggio hacker durante la campagna per le elezioni presidenziali negli USA  nel 2016. Per porre riparo a queste minacce sempre più serie verranno istituite  agenzie nazionali, reparti militari e compagnie private specializzate  nell’esecuzione di operazioni di cyberattacco e cyberdifesa. I Cyber Attack  Agents (agenti per i cyberattacchi) non saranno altro che ingegneri informatici  specializzati in questo tipo di operazioni, che potranno lavorare sia nel campo  militare che nel campo privato. Questi professionisti in mimetica ma seduti  davanti ad un monitor, operando in team super-specializzati, saranno incaricati  di gestire attacchi hacker, operazioni di cyberspionaggio e operazioni di guerra  elettronica, ma anche sorvegliare databases e infrastrutture informatiche dei  governi, monitorare i sistemi informatici di banche ed assicurazioni,  proteggere sistemi informatici delle imprese da attacchi hacker di competitor spregiudicati…

Cosa sono i super-computer e come cambieranno il  nostro futuro

Nel Capitolo precedente abbiamo parlato di come la Quarta Rivoluzione  Industriale permette oggi di far interagire il mondo delle cose online al mondo  delle cose offline (cioè il mondo reale) e viceversa. Questo passaggio, apparentemente banale ma in realtà epocale, è stato  facilitato dalla diffusione capillare di varie tecnologie come anche  l’Intelligenza Artificiale già citata, ma non solo! L’Internet of Things e le tecnologie computazionali di ultima generazione, seppur sono tecnologie  meno conosciute al grande pubblico, sono comunque assolutamente di primo  piano nella Quarta Rivoluzione Industriale e, per questo, vale la pena approfondirle.

L’Internet of Things (in italiano “Internet delle Cose”), è l’insieme di  tecnologie che consente di connettere elementi del mondo reale a corrispettivi elementi digitali. A primo impatto l’IoT può sembrare qualcosa di noioso da relegare al mondo degli “smanettoni” informatici, ma in realtà ciò di cui stiamo  parlando è molto più vicino a noi di quanto si pensi. Un esempio? Il QR Code che scannerizziamo con la fotocamera del nostro smartphone alla fermata del tram e che ci consente di aprire sul nostro cellulare il trailer dell’ultima serie targata Netflix è un esempio di Internet of Things. Gli ulteriori campi in cui si può applicare l’IoT sono tantissimi: dalle  applicazioni per efficientare i processi delle aziende, ai veicoli a giuda autonoma, alla domotica per gli edifici, alle smart cities e persino agli applicativi per tutelare l’ambiente e gli animali.

In questo capitolo approfondiremo quindi le nuove tecnologie  computazionali e, se anche queste al pari dell’IoT possano sembrare robe  per specialisti del settore, in realtà toccano molto più da vicino il nostro  mondo di ogni giorno di quanto possiamo credere. Tra le tecnologie  computazionali più interessanti e recenti, le principali sono i cosiddetti  “super-computer” e i computer quantistici. I primi sfruttano la legge di  Moore, per cui all’incirca ogni 18 mesi vengono sviluppati computer più  veloci, “leggeri” e performativi di quelli in commercio. In questo modo i  super-computer forniscono la possibilità di processare e analizzare masse  sempre più ingenti di dati in tempi ristretti, sfruttando al contempo le  tecnologie cloud per facilitare il lavoro da remoto e la decentralizzazione  delle informazioni. Un esempio concreto delle soluzioni che i super computer possono offrire è quello fornito dalla lotta alle epidemie, come  avvenuto nel caso della pandemia da COVID-19. A marzo 2020, infatti, il colosso statunitense IBM ha annunciato di aver messo a disposizione l’ultimo  esemplare di super-computer da essa sviluppato (AiMOS) per generare delle  simulazioni sullo sviluppo del virus. Computer “normali” avrebbero avuto  bisogno di mesi per processare le informazioni necessarie a generare queste  proiezioni, mentre AiMOS ha fornito risultati attendibili in meno di 2 giorni. 

I computer quantistici, invece, sfruttano alcune delle proprietà tipiche della  fisica quantistica – l’entanglement e la superposition – per svolgere alcuni tipi  di operazioni che sarebbero particolarmente complesse o lunghe da svolgere  per un computer tradizionale. Rendendo tutto più semplice con un esempio,  immaginiamo di dover trovare l’uscita di un labirinto digitale. Un computer  tradizionale tenterebbe un percorso alla volta, finché non trovasse, a forza di  tentativi, quello corretto. Un computer quantistico invece è in grado di provare  tutti i percorsi allo stesso tempo, trovando istantaneamente la risposta al  problema. Per esprimere questo concetto si parla infatti di “supremazia  quantistica”, proprio per indicare il fatto che, per alcune tipologie di problemi,  i computer quantistici siano enormemente più efficaci e rapidi di quelli  tradizionali. 

Quali sono dunque le applicazioni concrete per cui questi tipi di computer  potrebbero essere utilizzati? Ad esempio, Google, tra le altre aziende  impegnate nello sviluppo di questa tecnologia, sta testando l’utilizzo dei  computer quantistici per migliorare rapidamente l’intelligenza artificiale che  “guida” i veicoli autonomi. Questi computer possono essere inoltre utilizzati  per scoprire nuovi materiali, simulare reazioni chimiche e biologiche (come  nel caso del coronavirus esposto precedentemente) o – e questo è più  preoccupante – violare sistemi di sicurezza crittografati e rubare dati sensibili,  come ad esempio la carta di credito dal nostro account Amazon.  

Sebbene ad oggi si stia assistendo ai primi test in queste direzioni, sia i  super-computer che i computer quantistici sono lontani dall’essere  commercializzati e presentano costi ancora troppo elevati per la produzione in  serie. Indubbiamente però, anche a fronte dei potenziali rischi che alcune di  queste applicazioni potrebbero presentare, i governi e le aziende dovrebbero  iniziare a prepararsi fin da adesso per rispondere ad una loro progressiva  diffusione. 

Inoltre, ed è inutile a dirsi, lo sviluppo di computer così all’avanguardia  aprirà un’enormità di nuove opportunità lavorative, incentrate non solo sulle  competenze tecniche (esperti di intelligenza artificiale e machine learning,  sviluppatori, analisti di dati) ma anche su capacità correlate, ad esempio infatti serviranno professionisti “di strategia” che identifichino nuove opportunità  di applicazione di queste tecnologie e via dicendo.  

In realtà le competenze tecniche di programmazione sono già tra quelle  maggiormente richieste sul mercato del lavoro oggi, tuttavia da sole non  basteranno nel futuro prossimo. Infatti, i lavoratori del futuro non dovranno  solamente padroneggiare le competenze tecniche, ma dovranno anche  saperle sfruttare in un’ottica strategica e di sistema per capirne le  applicazioni concrete, e chi saprà fare ciò potrà aggiudicarsi i più prestigiosi  ruoli di leadership nelle aziende del futuro. Andando ora sul concreto, ecco  alcuni esempi di queste skill così preziose: 

  • Prospettiva olistica. La capacità di adottare una visione multi-disciplinare  nella risoluzione dei problemi, in modo da utilizzare alcune delle  conoscenze proprie di un ambito e sfruttarle in un ambito diverso.  
  • Pensiero critico. Essere in grado di mettere sempre in dubbio e saper  vagliare la veridicità e la validità delle informazioni che ci vengono  sottoposte. Una competenza, questa, sempre più fondamentale nell’era  delle fake news e della cosiddetta post-verità. 
  • Originalità. Riuscire a fornire risposte mai scontate nella risoluzione dei  problemi, sfruttando le due competenze precedenti ma anche utilizzando la  propria creatività per “personalizzare” una soluzione sulla base delle  esigenze degli interlocutori coinvolti.  

Ma come fare per sviluppare queste competenze così complesse? In  realtà, sfortunatamente, queste non sono competenze che si possono  apprendere con un libro e non si può neanche mai dire di saperle  padroneggiare al 100%, ma vanno sviluppate e affinate con pazienza e nel  corso del tempo. 

Qualche esempio? Possono aiutare nello sviluppo delle skill menzionate  sopra le occasioni aperte dall’università per fare esperienza sul campo,  uscendo dalla propria comfort zone, come le esperienze di stage all’estero,  ed anche in settori diversi dal proprio ambito di studi. Ma anche attività di  volontariato o progetti extracurriculari, a loro volta, possono portare a  diversificare il proprio bagaglio di competenze, arricchendo positivamente  la propria esperienza universitaria. Infine, letture, film, partecipare a eventi  nazionali e internazionali anche apparentemente scollegati dalla propria  esperienza di studio, in una sola parola… essere curiosi verso il mondo circostante, può costituire quella “ciliegina sulla torta” per il nostro sviluppo  di queste competenze.

Ingegneristica e tecnologia per salvare il nostro pianeta

Con il termine energia rinnovabile si intende l’energia prodotta da fonti  naturali e in grado di auto-rinnovarsi, come il vento e il sole. Ultimamente, se  ne sente parlare spesso perché il loro utilizzo permetterebbe di ridurre molto  l’inquinamento prodotto per la generazione di energia elettrica. 

Parlare di energia rinnovabile è importante per gli effetti, ormai noti, che i  combustibili fossili (come petrolio e carbone) stanno avendo sui cambiamenti  climatici. Come risposta, gli investimenti in energie rinnovabili stanno  raggiungendo delle cifre stellari: si prevede che nei prossimi anni saranno  superiori ai 300 miliardi di dollari, e nel 2018, per la prima volta nella storia,  la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato quella  prodotta con il carbone nei Paesi OCSE.  

Inoltre, la transizione verso fonti di energia rinnovabile non è soltanto  confinata ai Paesi sviluppati, ma un trend simile questo trend è presente anche  tra i Paesi emergenti. Infatti, i Paesi emergenti hanno iniziato la fase di  industrializzazione più tardi rispetto alle altre nazioni e l’adozione di energie  rinnovabili diventa essa stessa parte del progetto di industrializzazione,  generando non solo occupazione e crescita economica. 

I professionisti che troveranno sicuramente sbocco in questo campo, sono  gli ingegneri meccanici, elettrici, dell’automazione e anche navali:

  • ingegneri meccanici: per lo studio, progettazione e realizzazione delle  turbine eoliche e delle strutture di supporto; 
  • ingegneri elettrici: impegnati nel progettare e realizzare i macchinari  elettrici in grado di trasformare la potenza del vento in potenza elettrica; ▪ ingegneri dell’automazione: per realizzare e poi gestire tutti i sistemi che  permettono ad esempio alle turbine eoliche di auto-regolarsi e spostarsi in  funzione della direzione del vento oppure ai pannelli solari di orientarsi  seguendo il sole; 
  • ingegneri navali: ad esempio per realizzare strutture di supporto  galleggianti per l’installazione di turbine eoliche in mare aperto.

Ma, tra gli altri protagonisti, ci saranno anche dagli analisti di big-data machine learning, fino agli esperti di Internet of Things e, naturalmente, di  intelligenza artificiale. Tra questi professionisti ci saranno i già citati Data  Scientists, gli esperti di Internet of Things e i programmatori specializzati  in Intelligenza Artificiale. Di cosa si occuperanno questi professionisti nel  concreto? Ad esempio, progettare e sviluppare IA in grado di predire le fasi  in cui sarà prodotta più meno energia in base alle condizioni meteo. Oppure  ancora sviluppare IA per il riconoscimento di immagini, e tramite l’utilizzo  di droni volanti o sottomarini, lasciare che sia l’IA ad effettuare la costante  analisi delle immagini degli impianti individuando e prevedendo possibili  malfunzionamenti.

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